mercoledì 16 dicembre 2009

Assistenza Domiciliare…ovvero il fantasma della sanità abruzzese.

Qualche anno fa, l’Agenzia Sanitaria Regionale ha effettuato un censimento delle risorse disponibili per le cure domiciliari. Il risultato era sorprendente poiché mostrava perfettamente l’inadeguatezza del Sistema regionale.

Se cronicità e disabilità sono terreni fondamentali sul quale porre una attenzione particolare sarà ovviamente indispensabile realizzare investimenti o, comunque, una riallocazione di risorse che possano rendere efficaci gli interventi in questo ambito, non sottovalutando fra le potenzialità di un efficace sistema di cure domiciliari anche in rapporto alla possibilità, attraverso un sistema di dimissioni protette, di incidere sulle degenze ospedaliere.

L’indagine conoscitiva presentata dall’ASR, mostrava un Sistema delle Cure Domiciliari relegato ad un ruolo assolutamente marginale, dal punto di vista quantitativo e qualitativo.

Sia il numero dei pazienti assistiti che le risorse impegnate costituiscono un dato da cui non si può prescindere nel fare una valutazione della situazione, così come non si può non considerare che la parzialità dei dati raccolti non permette di definire quale sia il bisogno di assistenza che emerge sul territorio abruzzese.

I dati, compresi quelli raccolti dall’Osservatorio Epidemiologico Regionale, non chiariscono quale sia, dal punto di vista della qualità, delle caratteristiche, del tipo, la domanda avanzata dai 17.760 casi seguiti nel corso dell’anno 2005, né ciò che rimasto eventualmente inespresso sul territorio (si consideri che la popolazione ultrasessantacinquenne nella regione conta circa 260.000 unità a cui vanno aggiunti i pazienti con meno di 65 anni che necessitano di cure domiciliari per disabilità e perdita dell’autosufficienza permanente o temporanea). E’ però significativo che ben 6.893 di quei casi sono stati catalogati come ADP (Assistenza Domiciliare Programmata), la forma meno impegnativa dal punto di vista assistenziale, prevedendo il solo intervento del Medico di Medicina Generale (per intenderci il “medico curante” del paziente) con funzioni di controllo e monitoraggio della condizione clinica, prescrizione e attivazione di accertamenti specialistici.

L’Osservatorio rileva che le patologie più diffuse sono quelle da cui derivano più alti livelli di disabilità: artrite, ipertensione, diabete, con le frequenti complicanze correlate e che nel corso dell’anno 2005 l’accesso alle cure domiciliari è caratterizzato da condizioni che richiedono prevalentemente interventi assistenziali infermieristici e riabilitativi: la terminalità, le fratture negli anziani, gli incidenti vascolari costituiscono oltre il 50% della casistica.


Il censimento dell’ASR individuava le risorse impegnate sul territorio distinguendo il personale dipendente del SSN e quello proveniente da “esternalizzazioni”.

“Le figure professionali del SSN, a tempo indeterminato, che compongono il servizio erogante le prestazioni domiciliari sul territorio regionale risultano essere: l’infermiere professionale (104 operatori), altri medici specialisti (90), il medico di distretto (38 operatori), l’assistente sociale (25 operatori), la caposala (19 operatori) ed altre di minore presenza.


Le figure professionali a contratto, a tempo determinato, che erogano il servizio sul territorio regionale sono principalmente: l’infermiere professionale (19), altri medici specialisti (11) e il terapista della riabilitazione (6) ed altre.


Le figure professionali, che provengono da un servizio in appalto e erogano il servizio sul territorio regionale, sono in maggior misura: l’infermiere professionale (78 operatori), l’ assistente domiciliare (42 operatori) e il terapista della riabilitazione (26 operatori”.


Sono evidenti alcune debolezze.

Considerando quanto detto relativamente al bisogno di assistenza infermieristica che appare prevalente per la popolazione che dovrebbe essere assistita, le risorse disponibili appaiono evidentemente insufficienti a fornire qualità e quantità adeguata di assistenza.

I 78 infermieri impegnati attraverso appalti con società private, erano costituiti nella grandissima parte da neolaureati con scarsa o nessuna esperienza di lavoro, che solo transitoriamente ed in attesa di opportunità occupazionali più vantaggiose, accettavano di svolgere una attività che, anche in virtù di capitolati che poca attenzione pongono agli aspetti qualitativi e soprattutto si basano su gare svolte sul criterio del “minor costo”, sono molto poco gratificanti e vissuti come del tutto transitori.

Quanto al personale infermieristico dipendente del SSN, il documento dell’ASR chiarisce che in buona parte era condiviso con altre attività distrettuali per cui il calcolo relativo alle persone equivalenti, considerando cioè l’effettivo tempo impegnato in assistenza domiciliare, corrispondeva a circa il 50% effettivo del tempo di lavoro.

Quindi l’offerta assistenziale regionale, quanto a cure domiciliari consisteva, nel 2005, in 26 terapisti della riabilitazione e 130 infermieri effettivi su tutto il territorio regionale.

Dal 2005 ad oggi non sono stati fatti aggiornamenti regionali di questi dati, ma vista la contrazione generale di risorse umane a carico del SSN, non credo che queste risorse siano cresciute, piuttosto c’è da pensare al contrario. E’ però necessario incominciare a porsi seriamente il problema di come poter incrementare il numero degli operatori di assistenza e riabilitazione da investire sul territorio.

In questo senso sarebbe importante che i processi di riorganizzazione del sistema sanitario regionale ed il dibattito che dovrebbe realizzarsi intorno a tali processi, non dimentichi per l’ennesima volta di affrontare il problema della realizzazione di una valida rete di servizi assistenziali territoriali. Su questo terreno anche la “politica” potrebbe trovare la soluzione alla domanda del che fare delle risorse attualmente immobilizzate nei piccoli ospedali e nelle case di cura in crisi e, insieme, a realizzare qualche passo in avanti nella risposta a bisogni tutt’ora inevasi dei cittadini abruzzesi.

martedì 8 dicembre 2009

Tasse e tagli.

Non sono buone le notizie arrivate in questi ultimi giorni!


Tra Patto Stato-Regioni, Finanziaria e conti della sanità regionale, si annunciano, per noi cittadini, un ennesimo aggravio di tasse, di tagli e di disagi.

Il Patto Stato-Regioni per la salute del 3 dicembre, ha ribadito le penalizzazioni per le Regioni che presentino uno sbilancio economico che sul piano della tassazione qualcuno ha quantificato in un aggravio di IRAP ed IRPEF per i cittadini abruzzesi di circa 100 euro, ma che investirà anche i lavoratori della sanità in termini di contrazione del personale con la prevedibile conseguenza di una minore funzionalità e disponibilità dei servizi.

E non finisce qui. L’assessore Venturoni ci comunica che il disavanzo della sanità in regione persiste, malgrado il Piano di rientro e i tagli già effettuati.

Si fa riferimento ai problemi determinati dal terremoto che avrebbe, tra le altre cose, ridotto la mobilità in entrata di pazienti ed aumentata quella in uscita.

Sarà! Ma credo che i problemi siano altri.

A proposito di terremoto, fra l’altro si annuncia, se non interverranno cambiamenti, che gli aquilani torneranno presto a pagare tasse ed interessi per servizi inesistenti, per case distrutte, per attività produttive sospese al 6 aprile del terremoto.

Ma tornando alla sanità. Penso che a generare disavanzo ulteriore, sia stato ed è il modo in cui si è cercato di dare una cura al disavanzo. Sembrerà paradossale, ma…

Si sono avviati i tagli, e vero. Ma dove, ma come, di cosa?

Quando si avvia una razionalizzazione di servizi, di una produzione, in genere si opera una selezione finalizzata a ben delimitare cose da eliminare, ridurre, conservare, implementare.

E’ stato fatto?

A guardare non sembra.

Il sistema è rimasto sostanzialmente lo stesso di qualche anno fa, solo con qualche posto letto in meno e un bel po’ di personale (quello precario finito a zero euro e senza ammortizzatori e quello fuoriuscito e non ricoperto dai turnover) in meno nei servizi, con una notevole perdita, tra le altre cose, di professionalità alte.

Un sistema sostanzialmente ospedalocentrico, ma con difficoltà aumentate e qualità diminuita anche in quegli ambiti che esprimevano le performance migliori.

I servizi in grado di far fronte ai bisogni assistenziali legati alle condizioni di cronicità e di disabilità che costituiscono la domanda più rilevante e che più frequentemente determinano l’uso improprio dei servizi, soprattutto ospedalieri, non hanno avuto lo sviluppo necessario. Non a caso ai “tagli” di posti letto, ha corrisposto un aumento di pazienti parcheggiati nei corridoi dei reparti ospedalieri.

Ma soprattutto manca un controllo sulle attività che si basi su una verifica seria della loro appropriatezza, per cui le liste di attesa spesso sono determinate da tante prestazioni che potevano essere evitate.

In questa situazione quale attrattiva potrà avere il sistema Abruzzo per cittadini di altre regioni e come possono essere evitate le tentazioni alla fuga verso altre regioni degli abruzzesi?

Devo ammetterlo: è capitato anche a me di dare un “contributo”.

Ad un caro amico che, avendo bisogno di una TAC per un controllo in corso di terapie antiblastiche e che si vedeva prenotare l’esame a distanza di 4 mesi e fuori da tutti i tempi previsti dai protocolli terapeutici, ho vivamente consigliato di provare in un’altra regione. A Monza ha eseguito la sua TAC dopo quindici giorni!

A queste condizioni sarà dura uscire “dal fosso”, e allora…tasse e tagli, lacrime e sangue!

giovedì 3 dicembre 2009

Bisogni dei cittadini e sistema sanitario.

Appare banale, ciononostante non è scontato trovare un riscontro nella realtà: il sistema delle cure ha la sua ragione di esistere nella sua capacità di rispondere a bisogni reali correlati alla salute dei cittadini a cui si rivolge.

Sarà il caso allora di mettere insieme un po’ di dati che possano, se non definire in maniera perfetta i bisogni, aiutare a ragionare su di essi magari anche cercando di far proprie le esperienze di buone pratiche che in altre realtà sono state avviate. In questa pagina per esempio si segnala l'esperienza della ASL di Asti che ha effettuato una attenta monitorizzazione dei consumi sanitari in grado di definire bisogni, costi e risorse necessarie (vedi "buone pratiche").

Ad ogni modo uno dei determinanti principali della salute è l’età e la struttura demografica della popolazione fornisce sicuramente una indicazione importante nella lettura e nella previsione dei comportamenti di consumo sanitario. La popolazione ultrasessantacinquenne è quella che determina il maggior consumo di risorse sanitarie nel nostro Paese.

Secondo i dati forniti dall’ISTAT e relativi al 1° gennaio 2008, gli abruzzesi con 65 anni e più sono circa 282.000 abitanti, oltre il 21% della popolazione ed un indice di vecchiaia (il rapporto tra questa popolazione più anziana e i giovani fino a 14 anni) dei 161,84, secondo, nel meridione, solo al Molise.

L’associazione tra età e consumi sanitari è determinata ovviamente dall’evidenziarsi di problemi di salute, soprattutto relativi a condizioni di cronicità, ed all’insorgere conseguente di condizioni di disabilità.




Il tasso standardizzato consente di confrontare popolazioni aventi una struttura per età diversa. Il valore del tasso grezzo, infatti, dipende anche dalla struttura per età della popolazione, e non solo dal fenomeno in analisi. Per esempio, il tasso grezzo di disabilità (numero di persone disabili diviso popolazione) potrebbe essere più alto in alcune regioni a causa di una maggiore presenza di persone anziane. Il tasso standardizzato riconduce tutta la popolazione ad una stessa struttura per età, cosicché le differenze che si osservano fra le regioni non sono dovute al fattore età.

giovedì 26 novembre 2009

Montezuma e la politica abruzzese.

Oggi mi sfogo!
Mi scuseranno i visitatori di queste pagine che non saranno tantissimi, ma che comunque ci sono. E’ un bisogno profondo, di fronte alle nuove storiacce di cui ci arrivano notizie in questi giorni.


Mi sfogo sperando che i lamenti che sento dentro e che immagino sentano in molti dei cittadini di questa regione, possano finalmente trovare il modo di uscire, di diventare un “suono” pubblico ed insieme ai lamenti si incominci a prendere tutti insieme qualche decisione, a dire in maniera chiara di cosa abbiamo bisogno e come vogliamo che le cose si facciano.

Sembra ormai essere fatale, una relazione univoca, una sorta di maledizione di… Montezuma per cui la sanità, in questa regione, costituisce un fattore scatenante di comportamenti compulsivi questa volta rafforzato dalla “opportunità” offerta dalla tragedia del terremoto e dalle esigenze ed urgenze della ricostruzione.

E’ evidente che non ci è dato ancora certezza sulle accuse che cadono su politici, assessori, manager ed imprenditori di oggi, se esse abbiano fondamenti o siano solo un incubo perverso, ma è sempre più difficile riuscire a trovare gli spartiacque, se ve ne sono, con i politici, gli assessori, i manager e gli imprenditori di ieri e dell’altro ieri.

Mi viene da pensare che siano ormai tutti ammucchiati, una massa indistinta, un’ameba informe e inclusiva per cui appare ogni giorno più faticoso riuscire a capire dove sia l’inizio e la fine di ciascuno scandalo. Forse perché nessuno ancora, anche di quelle vicende più vecchie, ci ha fornito un inizio né fatto intravvedere una fine; né tantomeno ci ha chiarito quale sia, se ve n’è uno, il peccato all’origine di questa insopprimibile compulsione all’illecito.

Intanto la sanità, in Abruzzo, fa acqua da tutte le parti: innanzitutto rispetto alla capacità di rispondere ai bisogni delle persone, le più fragili in primo luogo (ed i ticket introdotti per la riabilitazione ne sono un fulgido esempio); poi per la povertà qualitativa e la precarietà dell’offerta di servizi che coincide perfettamente all'approssimazione organizzativa e gestionale; infine per l’immagine opaca, ma sarebbe meglio dire tetra, che diffonde anche per l'incuria che si evidenzia in ogni cosa, per i muri scrostati dei servizi e degli ospedali, per gli ascensori malfunzionanti, per i particolari anche più elementari che rinviano sempre ad una triste idea di abbandono.

Intanto il dramma della ricostruzione post-terremoto è quanto mai aperto e la speranza e la necessità di garantire che le strutture sanitarie tornino a funzionare in quella terra (come era già stato segnalato in questo blog) sembra essersi “concretizzata”, secondo quanto comunica la magistratura, in disegni illeciti e nel pericolo determinato da infiltrazioni mafiose nelle imprese coinvolte.

Intanto, infine, ci troviamo di fronte per la terza volta, di seguito e dopo meno di un anno dal voto, ad una legislatura regionale macchiata quantomeno dal sospetto della corruzione.

Quale credibilità rimane ancora?

Dovremmo riflettere, noi cittadini, che ormai da troppo tempo abbiamo rinunciato ad esigere che la politica e l’amministrazione della cosa pubblica risponda davvero al meglio ai nostri bisogni. Dovremmo riflettere a fondo sul perché abbiamo optato per la delega cieca rinunciando a ciò che è nostro solo per poter chiedere e, talvolta avere, un favore.

Dovremmo riflettere su una classe politica e dirigenziale regionale che è ferma, priva di rinnovamento. Gli stessi nomi lì, sulla breccia, per anni, passando da una legislazione all’altra, da una amministrazione all’altra, da uno scandalo all’altro.

E, d’altronde, di tutto questo, purtroppo, non possiamo non assumerci le dovute responsabilità:

quei politici, con il conseguente strumentario umano di amministratori, funzionari, affaristi, sono il prodotto combinato delle scelte e delle non scelte che quotidianamente facciamo e che comunque hanno, ci piaccia o no, ricadute politiche e sulla vita di tutti;

lo scempio, il saccheggio della sanità, delle sue risorse finanziarie e professionali fatto in decenni a danno di tutti i cittadini per favorire i soliti pochi interessati, è avvenuto sotto gli occhi di tutti, ma, nell’ipotesi più benigna, nella distrazione generale.

E, infine, dovremmo riflettere anche noi operatori della sanità: viviamo alla giornata nell’immobilismo e nella paura di doverci sperimentare in un cambiamento e, di giorno in giorno, anche noi siamo finiti con l’essere incredibili!

giovedì 19 novembre 2009

E se Villa Pini fosse l’occasione? (2)

Riprendiamo a ragionare sulla possibile occasione “offerta” dalla crisi del Gruppo Villa Pini.


Tralascio qui di riferirmi alle notizie di attualità, che sono su tutti i giornali e che comunque dicono che la vicenda non è risolta e tutti i nodi sono ancora lì, stretti ed ingarbugliati: da una parte la nuova legge regionale sull’accreditamento approvata 2 giorni fa non mette alcuna chiarezza e rinvia ulteriormente una soluzione, dall’altra, nessuno, istituzioni, politici e sindacati, ma non sembra, purtroppo, neppure tra i lavoratori (o almeno non se ne trova notizia), avvia uno sforzo che partendo da elementi concreti, vada a cercare soluzioni nuove.

Vado avanti così, non mi si voglia, con la mia provocazione, ovviamente a fin di bene e senza la pretesa di avere, soluzioni finali!

Continuo, cioè, a fantasticare, a fare qualche ipotesi cercando di immettere qualche dato e qualche riflessione senza alcuna pretesa: è solo fantasia e nient’altro, chissà poi che la fantasia non possa tornare utile.

Un primo dato.

Lo si ricava dalla relazione annuale del Ministero della Salute sull’attività di ricovero per l’anno 2008: il tasso di ospedalizzazione nella Regione Abruzzo, benché sceso ulteriormente nel corso dell’anno, resta ancora di oltre 10 punti al di sopra della media nazionale e, in particolare per il regime di ricovero ordinario, fanno peggio solo Molise e Puglia.

Nel 2006, sempre secondo i dati del Ministero della Salute, a livello nazionale vi era una disponibilità, tra strutture pubbliche e strutture private, di 4,5 posti letto per mille abitanti ed in particolare quelli destinati all’attività per acuti erano il 3,9 per mille. L’Abruzzo però nello stesso anno, secondo gli stessi dati disponeva di circa 5,2 posti letto per mille abitanti di cui ben 4,5 solo per acuti (superato solo da Sardegna e Molise).

Sempre da quei dati, senza pretendere qui di fare analisi particolarmente approfondite, si possono ricavare alcune altre informazioni: a fronte di un tasso di ospedalizzazione e di un rapporto maggiore posti letto/abitanti rispetto alla quasi totalità delle altre regioni italiane e del dato nazionale, il numero degli infermieri che operano nelle strutture di ricovero, 4,46 per mille abitanti, è sostanzialmente in linea o appena superiore al dato nazionale (4,04), stando ad indicare una scarsità di risorse disponibile per garantire gli stessi livelli assistenziali.

Il rapporto medici ospedalieri/abitanti è di 1,73 per mille e, considerando il confronto con il dato nazionale e delle altre regioni, sembra avere connotazione diversa dal dato relativo al personale infermieristico. I medici infatti sono anch’essi proporzionalmente al di sopra del dato nazionale, che è dell’1,63 per mille, ma se si osservano regioni meglio organizzate e più virtuose si trova che vi è un rapporto più armonico con il rapporto posti letto/abitanti.

Mi fermo qui.

Sono ovviamente solo alcuni dati e “suggestioni” su cui riflettere, ma, è ovvio, molte sono ancora le domande e le informazioni da mettere insieme.

Per esempio: cosa c’è in termini di risorse sul territorio, fuori dagli ospedali? E…basta quel che c’è?

(continua…)

Di seguito ci sono i link con le pagine del Ministero della Salute per meglio approfondire i dati
http://www.ministerosalute.it/ricoveriOspedalieri/archivioDocumentiRicoveriOspedalieri.jsp?lingua=italiano&id=1117
http://www.ministerosalute.it/servizio/sezSis.jsp?id=87&label=dsf

domenica 15 novembre 2009

L’evento sentinella.

Si definisce “sentinella” un evento avverso di particolare gravità, potenzialmente evitabile, che può comportare, quando ci si riferisce agli ambiti sanitari, morte o grave danno al paziente e che determina una perdita di fiducia dei cittadini nei confronti di chi ha contribuito a generarli.

Il verificarsi di un solo caso dovrebbe essere sufficiente a dar luogo ad approfondimenti e indagini diretti ad accertare se vi abbiano contribuito fattori eliminabili o riducibili e per attuare le adeguate misure correttive da parte di un’organizzazione.

Tali eventi sono così denominati e non si sarebbe potuto fare meglio, perché per l’appunto sono sentinelle e, per questo, guardano ed ascoltano e forniscono informazione su ciò che appare all’orizzonte. Permettono di rilevare elementi capaci di connotare le azioni correlate a quegli eventi e leggere il significato delle cose. Per questo hanno in se un forte potere analitico ed esplicativo.

Nella AUSL di Pescara da qualche anno esiste un Centro di Terapia del Dolore fino a qualche giorno fa, collocato al piano terra del monoblocco ospedaliero, in prossimità del Blocco Operatorio, facilmente accessibile sia per i pazienti esterni che per quelli interni.

Ora non più!

Il Centro, da qualche giorno, è stato trasferito nelle strutture del vecchio ospedale, nella palazzina che, se un giorno saranno disponibili infermieri ed OSS, dovrebbe ospitare l’Hospice.

E’ un luogo accessibile per i pazienti esterni, ma lontano dal parcheggio che si trova sul lato opposto del complesso ospedaliero.

E’ un luogo raggiungibile solo con un percorso di guerra, per i pazienti interni che dovessero aver bisogno della struttura (per lo più pazienti oncologici e comunque afflitti da serie patologie dolorose).

La nuova localizzazione comporta infatti l’attraversamento di piazzali esterni, il passaggio attraverso sotterranei fatiscenti e, dappertutto, pavimentazioni sconnesse che ad un corpo dolorante sapranno far ben comprendere fin dove si possa soffrire.

Non solo.

L’attuale disponibilità di personale ospedaliero, soprattutto di quello che dovrebbe svolgere il trasporto in barella o carrozzina dei pazienti dalle unità operative ospedaliere al Centro antalgico è molto vicino a zero, per cui sarà molto difficile anche solo avviarsi nel suddetto percorso di guerra.

D’altra parte anche la disponibilità (intesa come buona volontà) degli infermieri, che non dovrebbero essere utilizzati per questo tipo di attività, è messa a dura prova data la scarsa disponibilità (intesa come scarsità di numero) di queste figure che quasi sempre sarebbero costrette, nel caso effettuassero l’accompagnamento dei pazienti, a lasciare a se stessi intere corsie.

La scelta del trasferimento del Centro di Terapia del Dolore, da chiunque sia stata effettuata, costituisce un tipico di evento sentinella: mostra come nella AUSL di Pescara si realizzino interventi privi di logica e dannosi per i pazienti, che sono (è riduttivo dire “dovrebbero”!) il primo motivo di esistenza di un servizio sanitario, e per la stessa organizzazione che tutta intera si troverà a soffrire delle nuove condizioni create.

E’ la messa in evidenza di una visione organizzativa parcellizzata ed autoreferenziale che non tiene conto di nessun bisogno e di nessun progetto.

Ma…si può?

venerdì 13 novembre 2009

E se Villa Pini fosse l’occasione?

Nota il Prefetto dell’Aquila, che la dirigenza aziendale del gruppo “Villa Pini”, manifesta scarso rispetto per le Istituzioni. Sembra che per la prima volta, dopo molti anni, un uomo delle istituzioni si accorga del modo strumentale ed irrispettoso in cui sono state agite le relazioni da questa azienda, in particolare, per ovvi motivi finanziari, con la Regione Abruzzo.

Vorrei sottolineare però che oltre che irrispettoso delle Istituzioni il Gruppo “Villa Pini” si è tante volte e molto più dimostrato privo di rispetto e considerazione nei confronti dei lavoratori.

Basta ricordare come da mesi, lasciati senza stipendio, essi sono allo stesso tempo oggetto e strumento di ricatto.

Non è la prima volta che ciò accade: ricordo decine e decine di giornate negli anni passati (e mi riferisco a vicende che vanno ben oltre un decennio) in cui mi è capitato, passando davanti al palazzo dell’Assessorato alla Sanità a Pescara, di incrociare quei lavoratori in presidio e protesta.

Qualche volta, dicono, anche direttamente organizzati dallo stesso “datore di lavoro”.

Sicuramente sempre e comunque spinti da una condizione di incertezza in cui vedevano collocate le loro condizioni di lavoro e le loro vite.

Ora, finalmente, appurato e riconosciuto l’atteggiamento irrispettoso anche da parte di chi rappresenta il governo del Paese, c’è da auspicarsi che qualche iniziativa pure venga assunta, poiché in questi mesi di perenne tensione e di esposizione a vario titolo ai riflettori del gruppo Villa Pini e del suo proprietario, si è creata una condizione insopportabile per chi lavora in quell’azienda nell’assenza totale di proposte in grado di ridare una qualche speranza.

Cosa fare di Villa Pini e delle strutture ad essa collegate? Cosa fare delle risorse umane e professionali che hanno lavorato e, ancora lavorano malgrado tutto, in queste strutture? Come utilizzare al meglio le risorse economiche pubbliche determinate dall’accreditamento di posti letto e prestazioni da parte della Regione Abruzzo?

Immagino che non sia una bestemmia proporre di partire da ottiche che non siano miopi e sappiano inquadrare in maniera adeguata la realtà economica e sociale del territorio regionale, sapendone cogliere i bisogni più veri e costruire un progetto di Sistema sanitario in grado di confrontarsi e rispondere a quei bisogni.

La crisi del Gruppo Villa Pini potrebbe essere allora una opportunità positiva per ripensare e costruire pezzi di sanità oggi mancanti.



Per quello che sarà possibile questo blog si ripromette di fornire nei prossimi post qualche dato e qualche spunto che si spera possa essere utile ad una discussione e si auspica che altri forniscano elementi ulteriori di riflessione.

venerdì 6 novembre 2009

E gli immigrati pagano la sanità a noi italiani.

Si sente spesso, da parte anche di persone non autorizzate all’ignoranza in materia, affermare che uno dei motivi per cui è necessaria una politica di “maggior rigore” verso l’immigrazione è dato dal costo determinato dall’uso dei servizi del nostro Sistema Sanitario Nazionale, da parte degli immigrati. Il loro ricorso ai servizi determinerebbe, secondo costoro, un impoverimento per il nostro sistema con danno a carico degli utenti e dei contribuenti italiani.


Una bufala enorme ed idiota.

Voglio fare qui qualche considerazione e due righe di conto che tutti potranno verificare.

Innanzitutto la considerazione. I cittadini immigrati regolari sono contribuenti altrettanto regolari per lo Stato: la necessità di svolgere una attività lavorativa al fine di fruire del permesso di soggiorno, fa sì che tra loro non vi siano praticamente disoccupati. La loro attività determina una contribuzione fiscale identica a quella dei cittadini italiani che partecipa, in maniera sovrapponibile a quella degli italiani, al finanziamento dello Stato, delle sue articolazioni territoriali (Regioni, Comuni, ecc.) e dei servizi di tutti i tipi presenti sul territorio.

Si osserverà che poi ci sono gli immigrati irregolari. E’ vero, però costituiscono una minoranza che la Commissione dell’Unione Europea valuta in Italia di circa 570.000 unità mentre altre fonti arrivano a ritenere essere di circa 700.000. A vario titolo, di fatto, anche la gran parte degli immigrati irregolarmente soggiornanti, attraverso le loro attività rese in “nero” contribuiscono all’economia del nostro Paese ed alla ricchezza di alcuni suoi cittadini!

Voglio fare, come dicevo, anche “due righe di conto” ricorrendo ai dati forniti per lo più da agenzie pubbliche che hanno in qualche modo studiato la questione.

Gli immigrati regolari nel nostro Paese sono circa 4 milioni, in grandissima parte provenienti dai cosiddetti Paesi a Forte Pressione Migratoria (PFPM) ed in piccola parte da Paesi a Sviluppo Avanzato (PSA). Questi ultimi hanno abitudini di vita molto simili alle nostre e spesso provengono da luoghi in cui l’offerta sanitaria è simile se non più sviluppata di quella italiana.

L’insieme di questa popolazione immigrata che rappresenta il 6,5% dell’intera popolazione residente produce circa il 10% del PIL nazionale (fonte: Fondazione ISMU anno 2008) con un contributo pro-capite maggiore rispetto ai cittadini italiani.

Già questo dato smentisce ampiamente il pregiudizio che attribuisce agli immigrati un ruolo “parassitario” rispetto al consumo di servizi ed evidenzia il loro contributo al sistema di welfare del nostro paese, ma c’è altro da considerare.

Il consumo sanitario della popolazione immigrata è significativamente inferiore rispetto a quello della popolazione italiana e in particolare quello dei provenienti dai PFPM.

Si tratta infatti una popolazione giovane: circa il 38% ha un’età compresa tra 25 e 39 anni, mentre i minorenni costituiscono il 22%, gli ultra sessantacinquenni, che sono i maggiori consumatori di risorse sanitarie, meno del 2% (ISTAT 2009).

La popolazione italiana ha tutt’altra struttura demografica. Considerando le stesse fasce di età troviamo che gli ultra sessantacinquenni costituiscono circa il 19%, la popolazione tra 25 e 39 anni un po’ meno del 19% ed i minori il 15,5%.

L’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali ha effettuato uno studio che ha analizzato i consumi sanitari mettendo a confronto l’uso dei servizi da parte di italiani e stranieri provenienti da Paesi a Sviluppo Avanzato, stranieri regolarmente soggiornanti provenienti da PFPM e stranieri irregolari. In particolare, visto che le caratteristiche della popolazione straniera e la loro cultura sanitaria porta ad un ricorso pressoché esclusivo ai servizi ospedalieri, sono stati analizzati i ricoveri e le Schede di Dimissione Ospedaliera negli anni dal 2003 al 2005.

Lo studio ha evidenziato che vi è un ricorso all’ospedalizzazione da parte degli immigrati regolari ed irregolari provenienti da Paesi a Forte Pressione Migratoria minore rispetto ad italiani e stranieri provenienti da Paesi a Sviluppo Avanzato. L’incidenza sulla complessità dei ricoveri è del 2,5% per i regolari, dello 0,5% per gli irregolari. Ricordando che la popolazione immigrata regolare, come si è detto è del 6,5%, balza evidente la non proporzionalità dei ricoveri.

Lo studio ha anche analizzato i valori sia in termini economici che di peso dei ricoveri riscontrando che mediamente i ricoveri di italiani e PSA hanno un peso maggiore rispetto a quelli di immigrati regolari ed irregolari di PFPM. Così come sul piano economico i ricoveri di questi immigrati incidono per solo il 2,8% del valore economico di tutta l’attività di ricovero ospedaliera.

I dati a questo punto parlano molto chiaro: la popolazione immigrata contribuisce a produrre ricchezza per il nostro Paese in maniera proporzionalmente maggiore agli italiani e usa le risorse che concorre a creare, almeno in sanità, in maniera proporzionalmente minore.

martedì 3 novembre 2009

Quale sanità ricostruire a L'Aquila?

E’ di qualche giorno fa “l’ira di Cialente” che, unitamente agli altri sindaci del comitato ristretto, ha lanciato l’allarme per le difficoltà di quell’azienda di far fronte ai bisogni di salute del territorio aquilano. In particolare i sindaci mettono in evidenza le condizioni dell’Ospedale San Salvatore. Terremotato in tutto e per tutto come evidenziano i 50 certificati medici che il personale presenta quotidianamente a partire da quel 6 aprile.



E’ però un grido di rabbia e dolore che se rimane nei termini messi in evidenza dalle notizie di stampa rischia di essere a mio avviso, in gran parte incapace di affrontare i problemi veri.

Torno alle notizie.

Cosa chiedono i sindaci: “Bisogna riaprire subito il laboratorio analisi e avviare il programma per riportare l’ospedale ai 460 posti letto originari…dopo il terremoto bisogna rifare l’ospedale dell’Aquila e ripensare la sanità sul territorio con i distretti e le residenze sanitarie assistenziali…la riabilitazione è assente, le eccellenze e le professionalità di un ospedale che fino al 5 aprile aveva il 30 per cento di mobilità attiva sono mortificate…serve un piano per riaprire l’ex Onpi all’Aquila e la Rsa a Montereale…bisogna creare due distretti, uno a Est e l’altro a Ovest…e ci devono ridare anche i 60 posti letto della clinica Sanatrix. Dobbiamo tornare ad averne 460”.

Gira che ti rigira tutto si concentra, almeno da ciò che riporta la stampa, sull’ospedale, penso però che purtroppo i problemi siano ben più complessi e gli strumenti su cui incominciare a contare per il futuro siano necessariamente diversi rispetto al passato ed un po’ meno scontati. Forse amministratori e tecnici, ma anche i cittadini devono incominciare con minor superficialità a cercare soluzioni diverse e più efficaci e provare almeno ad immaginare di sperimentare percorsi nuovi per dare seriamente risposte ai bisogni ed ai problemi di salute.

E’ questa una esigenza che si pone a L’Aquila, ma è con tutta evidenza una esigenza che si pone per tutta la realtà sanitaria regionale abruzzese.

Ma torniamo alla specifica questione posta dalla notizia.

L’ospedale de L’Aquila, incredibilmente (sig!) danneggiato dal terremoto del 6 aprile, va sicuramente ripristinato e dovranno essere riattivati al più presto i suoi servizi. All’indomani del terremoto ci era sembrato assurdo che strutture strategiche per poter affrontare un’emergenza, quali Prefettura ed Ospedale, fossero crollate o rese inagibili. Era il segno di una cultura del pressapochismo e dell’incuria, ma anche di sguardi incapaci di arrivare ad un orizzonte, di immaginare uno scenario futuro: che L’Aquila sia in zona sismica non è cosa emersa dopo il 6 Aprile e anche le scellerate furbizie della politica capaci di declassarne il rischio sismico, non avrebbero dovuto neppure far immaginare la possibilità di esporre due strutture di tale importanza per l’organizzazione dell’attività di soccorso e di gestione di una qualsiasi emergenza, al rischio di essere ridotte all’inagibilità ed alla conseguente impotenza.

Vivo in una città diversa di questa regione e non so la Prefettura, ma quanto all’Ospedale non ci metterei la mano sul fuoco, come si suol dire, sulla sua stabilità e solidità!

Il fatto è che ci troviamo a dover vivere all’interno di una realtà che rinuncia, forse anche per incapacità e ignoranza oltre che per indolenza, a cercare di proiettarsi nei tanti scenari futuri: coloro che hanno responsabilità nello scegliere e nel decidere, lo fanno pensando a malapena all’oggi, figurarsi quale sia il ruolo affidato al domani!

Purtroppo anche noi cittadini, finiamo con l’assumere gli stessi atteggiamenti. Purtroppo!

L’ospedale quindi deve essere rimesso in condizione di funzionare, anzi l’ospedale doveva costituire una delle priorità su cui H24, come si dice, si sarebbe dovuto lavorare, proprio perché struttura dell’emergenza ed il terremoto ha costituito una emergenza da quel 6 aprile (e forse anche prima di quella data).

Ma c’è altro su cui ragionare ora.

La ricostruzione del territorio aquilano sta avvenendo in maniera da determinare una sostanziale dispersione degli insediamenti. Ad oggi non appaiono ipotesi di una ricostruzione di una struttura urbana centrale ed il centro storico è di fatto fuori da ogni ragionamento. E’ un progetto devastante forse ancor più del terremoto contro il quale non appare che una debole opposizione: i cittadini già “deportati” e dispersi, le rappresentanze politiche consenzienti o annichilite ed insignificanti (non solo in senso quantitativo, ma soprattutto qualitativo).

In questo quadro che pure si dovrà trovare il modo di contrastare per evitare di abbandonare una città, la sua storia, il suo vissuto sociale, la sua cultura, la sua rete di relazioni fatta delle migliaia di vite che si sono intrecciate e che ora rischiano di cadere in un isolamento capace solo di produrre disagio e “malattia”, non si può e non si deve cadere nell’idea che le soluzioni siano le solite, quelle che erano già inadeguate il 5 aprile perché già allora non raggiungevano i bisogni veri e concreti delle persone.

La sanità abruzzese si è caratterizzata da sempre per essere costituta quasi esclusivamente da farmaci ed ospedali e, praticamente, nulla più. Una rilevazione effettuata dall’Agenzia Sanitaria Regionale nel 2006, evidenziò che complessivamente gli operatori sanitari e sociali impegnati nelle attività di assistenza domiciliare erano complessivamente, per l’intera regione, un paio di centinaia. Sul territorio i distretti arrancano e non riescono a far fronte all’insieme della domanda, soprattutto quando questa è legata alla disabilità e non sia puro consumo di prestazioni sanitarie. Provi una qualsiasi persona a cercare risposta alla esigenza, solo per fare un esempio banalissimo, di vedersi somministrare una terapia farmacologica a domicilio da professionisti sanitari. E’ pressoché impossibile, a meno di rivolgersi a chi svolge la libera professione privatamente (e quindi con un costo tutto a carico del cittadino), e ciò non solo, ovviamente, nelle aree del cratere del terremoto.

In realtà il porre l’accento sul bisogno di ospedale e solo su quello (mi viene però da dire sui posti letto perché è “disperato” il grido “dobbiamo averne 460”) marca subito e per l’ennesima volta la direzione ed il percorso su cui solo sembra ci si sappia muovere in Abruzzo: ospedale e solo ospedale.

E a tutti i problemi di salute che invece verranno vissuti all’interno dei futuri MAP e MAT, nei villaggi CASE sparsi nella esplosione della città de L’Aquila terremotata cosa e chi dovrà dare risposte? I soli medici di medicina generale terremotati e magari trasferiti negli alberghi sulla costa? Ed ai bisogni determinati dalla disabilità fisica che si rinchiude in quelle mura più o meno provvisorie chi farà fronte?

Ma viene anche da aggiungere: alla disabilità delle relazioni, degli affetti feriti, al bisogno di sostegno ed alla necessità di preservare la vicinanza delle famiglie in presenza delle mille cronicità rese ancor più importanti dalla incertezza determinata da una terra che trema e da una ricostruzione che per molto tempo ancora non permetterà di avere chiare prospettive, con cosa si risponderà? Con una visita specialistica distrettuale e qualche giorno di ricovero ospedaliero?

Forse ci si dovrà sforzare un po’ di più, magari veramente cercando di capire quali siano i bisogni e avviando, per una volta, la sfida vera che il sistema della salute e della malattia deve affrontare: la capacità di diventare diffuso, così come è diffuso il modo ed il luogo di manifestarsi di gran parte della malattia e dei bisogni di salute oggi; la capacità di investire risorse e professionalità sul territorio, in prossimità ai luoghi di vita delle persone, facendo tesoro dei loro punti di forza e di debolezza.

E’ uno sforzo indispensabile. Ancora di più ora e nel futuro a L’Aquila.

venerdì 30 ottobre 2009

Per incominciare

Sono mesi che sono tentato di creare uno spazio su cui avviare a raccontare riflessioni e idee che mi girano dentro. Ci provo ora senza sapere bene dove andrò a parare.


Immagino che alla fine verrà fuori una sorta di diario in cui le cose che mi passano in prossimità saranno in qualche modo non solo osservate, ma scomposte e frammentate in mille pezzi. E' ciò che sono abituato a fare. Ciò che ho fatto in tanti anni per collocazione e ruolo e che, cambiata collocazione e dismesso il ruolo, mi ritrovo ancora a fare, ma in maggiore solitudine.

Un blog, quindi!

Non mi illudo, certo non sarà affollato ed è per questo che ho parlato di diario, di luogo in cui si allineeranno le cose su cui si appunterà la mia attenzione e che potrà, soprattutto per me, costituire lo specchio della mia coerenza/incoerenza di pensiero. Se però qualcuno capiterà da queste parti sarà il benvenuto.

Se vorrà lasciare un commento, ma anche un dubbio, una domanda, anche una provocazione, sarà il benvenuto.