lunedì 15 febbraio 2010

Io non ridevo




Chissà se sarà veramente giustificato il “finalmente” che mi è venuto alla vista di quegli aquilani che con rabbia hanno scalzato le transenne e si sono riappropriati per un po’ della loro città.
Finalmente, perché fin qui, anche a non fare i soliti fasci di erba indistinta, non s’era visto né sentito dissenso vero né sulla deportazione, né sulla disarticolazione e l’affossamento della città, né sulla riduzione a ruolo di puri contorni scenografici a misura dei veri protagonisti (e delle loro esigenze di onnipotenza) della città e della sua popolazione.
Mi è venuto da pensare, a volte, che il freno a qualsiasi espressione di volontà, fosse determinato non solo dalla “necessità” di accondiscendenza ad un regime che poiché privo di limiti reali, di criteri oggettivi, nella dimensione giustificativa dell’emergenza, era in grado di includere ed escludere a proprio piacimento, ma anche ad una sorta di senso di colpa collettivo in grado di indurre a vergogna.
Il terremoto aquilano, ormai lo sappiamo, ha in gran parte fondato la sua forza devastante su negligenza e superficialità, su incapacità e indolenza, ampiamente diffuse nella nostra regione, in rapporto alla valutazione dei problemi reali e potenziali, alla gestione degli interventi, alla organizzazione e programmazione delle attività.
E’ la caratteristica di tutto ciò che “gira” in questa regione, che sia la pianificazione urbanistica, l’organizzazione del sistema sanitario o le politiche del lavoro: se si guardano le cose non si fa fatica a vedere che ci troviamo sempre (se va bene) dinanzi alla “mediocrità”, ogni cosa ha la sua sbreccatura.
E’ tutto approssimativo: approssimativa la politica e l’amministrazione pubblica, approssimativa la politica dei sindacati, approssimativi i tecnici che dovrebbero gestire i processi operativi.
E’ stato sicuramente per decenni approssimativo il modo in cui si è gestito e si è intervenuto sul territorio aquilano; è stato approssimativo il modo in cui si è valutato il rischio sismico in quel territorio. Molti, troppi, hanno ritenuto di poter volgere lo sguardo altrove e tirare avanti.

Approssimative, invece, non sono state le forze che si sono scatenate dopo il terremoto.
Si fosse considerata adeguatamente con quale tempestività furono approntati e presentati i progetti di new town, sarebbero apparsi immediatamente chiari gli intenti veri di ri/costruzione che animavano coloro che veramente contano in questo Paese. La scelta di saltare tutte le fasi intermedie che normalmente si svolgono dopo catastrofi come quelle del 6 aprile, non era determinata dalla ricerca di un guiness, di un miracolo italiano che, era immediatamente apparso chiaro, non sarebbe potuto esserci. Troppe le risorse necessarie per garantire una c.a.s.a. da 2700 euro a metro quadro per tutti coloro che comunque non sarebbero potuti rientrare nelle proprie case.
No! La scelta derivava dalla consapevolezza di poter sperimentare concretamente a che punto fosse la capacità di controllo di una popolazione e, insieme, a che punto fosse la possibilità di agire e muovere enormi risorse economiche pubbliche senza che potesse essere esercitato alcun controllo.

Ora, “finalmente”, sembra esserci un nucleo di coscienza su cui ricominciare davvero a sperare. Piccolo, ma evidente.
Finalmente appare la rabbia per tutto ciò che in questi 10 mesi non si è fatto. Finalmente emerge la coscienza che anche sulle tragedie si specula. Finalmente sembra esprimersi la voglia di rimettere mani, piedi e cuore dentro la propria città.
Spero, finalmente, che i cittadini aquilani incomincino a rifiutare di affidare ad altri la ri/costruzione della propria vita.
Domenica quelle donne e quegli uomini che hanno superato le transenne hanno incominciato a riprendersi qualcosa. Li ho visti arrampicarsi sopra le montagne di detriti che ancora invadono molte strade e piazze. Li ho visti trattenere con se un sasso, un frammento di città. Io spero che si avvii finalmente la ricostruzione che fin qui non c’è stata.

lunedì 1 febbraio 2010

What Else?

Villa Pini:
oltre 1600 lavoratori senza stipendio da quasi un anno e pressoché invisibili
un imprenditore dichiaratosi corruttore e concusso
e la melina della politica


Non credo abbia senso concentrarsi sul “dietro le quinte”, provare a rintracciare i fili nascosti che legano le scelte di ieri con gli esiti di oggi.
A cosa può servire, a capire ciò che già sappiamo da tempo?
Che attraverso la sanità, attraverso la gestione delle enormi risorse economiche pubbliche e in nome della “salute dei cittadini”, si mette in atto il potere politico ed economico nella nostra regione?

Non è meglio cercare di fare uno sforzo per avviare un cambiamento che dia anche una soluzione a qualcuno dei tanti problemi che questa regione ha.

Si può tentare, per esempio di dare una risposta al bisogno di lavoro di chi da quasi un anno è senza stipendio e con un futuro assolutamente incerto.
Ma si può tentare anche di dare risposta al bisogno di salute insoddisfatto di tanti cittadini abruzzesi. Potrebbe essere possibile avviare servizi, ormai consolidati in molte altre regioni e “inimmaginabili” per l’Abruzzo e incominciare, così, ad agire su quella che sembra essere l’unica e compulsiva richiesta che arriva dal territorio: ospedale, ospedale!

Certo per fare questo bisognerà incominciare una buona volta a fare lo sforzo di capire, di analizzare i bisogni ed individuare gli strumenti adatti alla loro soddisfazione. Sarà anche necessario uscire dai soliti schemi entro i quali si è sempre ragionato. Abbandonare la logica di pensare prima agli “organigrammi” e poi e di conseguenza al cosa fare.
Non è facile, è evidente, ma è un dovere a questo punto.

C’è chi aspetta, per il Gruppo Angelini, un compratore: un bell’imprenditore che con un po’ di denaro da investire si assicuri un buon patrimonio. Va da se che vorrà farlo fruttare e, visti i precedenti, liberarsi magari anche della parte peggiore e più improduttiva dell’azienda, trattenendo per sé solo la parte migliore e più redditizia!
Ma come si guadagna in sanità?
Chiederà soldi alla Regione! Tanti soldi e…per fare cosa?
Farà ospedale e, magari, riabilitazione. What else?

sabato 23 gennaio 2010

Maurizio Acerbo su Villa Pini

"...Le notizie relative a possibili acquirenti confermano che molti interessi ballano intorno al capezzale o presunto tale di Villa Pini.
Scrivo queste cose, non per esercizio dietrologico, ma per elementari considerazioni di natura etica e politica.
La sanità ha condotto l’Abruzzo nel disastro a causa di una pluridecennale assenza di trasparenza e programmazione che ha consentito a sprechi e corruzione di proliferare a spese dei cittadini e dei loro bisogni di salute.
Gli accreditamenti ai privati non sono mai stati il frutto di dati epidemiologici e delle esigenze della popolazione, ma di una “contrattazione” tra politica e signori della sanità privata.
La crisi del gruppo Villa Pini ci poteva mettere nella condizione di tenere finalmente un atteggiamento virtuoso e conforme a una corretta politica sanitaria.
Invece il fatto che la giunta Chiodi non ci abbia mai consentito di discutere in maniera seria e pubblica la gestione della crisi del gruppo Angelini ci consegna un quadro oscuro e confuso dove i “furbetti” possono continuare a muoversi secondo le vecchie logiche di sempre.
Il come riorganizzare il complesso di prestazioni erogate dal gruppo Angelini e la salvaguardia occupazionale dei suoi dipendenti dovrebbe essere una questione da affrontare tenendo presenti soltanto interessi di natura pubblica.
Non sta scritto da nessuna parte che debba permanere l’attuale quadro di accreditamenti privati (con un nuovo titolare) nel momento in cui nelle segrete stanze romane si sta elaborando il piano per la chiusura di non si sa quanti ospedali pubblici abruzzesi.
Chi lo ha detto che la via di uscita è il subentro di un nuovo gruppo della sanità privata?
Se si fosse applicata la norma del 2007 e si fosse praticata la strada del commissariamento delle strutture lo scenario sarebbe oggi meno oscuro e confuso.
Nel mentre ci battiamo per garantire un reddito ai lavoratori del gruppo teniamo sempre presente il complesso della battaglia per il risanamento della sanità regionale"
(Maurizio Acerbo - consigliere regionale Rifondazione Comunista)

Si vabbè Maurì, ma...cioè?

giovedì 7 gennaio 2010

IVG…a Pescara.

Cercando dati dal web sui servizi sanitari in Abruzzo, mi sono imbattuto in una “voce” all’interno di un forum che mi era sembrata incredibile.
La riporto tout court:

“IVG a Pescara

ho appena tel al consultorio e mi hanno detto di telefonare all'ospedale x prendere l'appuntamento.
Qualcuna di voi l'ha fatto a Pescara, non so se mi conviene andare in qualke altro ospedale....” postato da Chery84 in al femminile.com.

Mi era sembrato impossibile: il consultorio è il servizio specificamente deputato ad accogliere e seguire le donne nella drammatica scelta di interrompere una gravidanza.

La struttura ospedaliera esegue l’atto “chirurgico”, può e deve avere una sensibilità particolare rispetto alla particolarità della problematica dell’aborto, ma strutturalmente e funzionalmente non può svolgere una funzione di prevenzione e di follow-up, non ha la possibilità, anche volendo, di offrire sostegno alla donna che è di fronte ad un problema così delicato.

Il post era del maggio 2007 e mi son detto: a distanza di un po’ più di due anni sarà cambiato tutto.

Sul sito della AUSL di Pescara si segnalano 16 consultori distribuiti sul territorio della provincia, 3 nella città di Pescara, con una nutrita presenza di ginecologi, pediatri, medici di base, psicologi, avvocati, infermieri, assistenti sociali e ostetriche; in tutto una sessantina di operatori.

Proviamo!

La mia amica e collega Maria, con cui a volte discuto delle cose che vado scrivendo su questo blog, si è resa disponibile a sondare un paio di quei Consultori. Risultato?

“Deve rivolgersi al servizio ospedaliero…no, non ho il numero a portata di mano, ma lo trova sull’elenco telefonico…non si preoccupi pensano a tutto loro, le faranno anche il controllo dopo l’interruzione”.

E tutto il resto? Il supporto? L’informazione e l’educazione? Tutto quello che serve per evitare che, magari tra qualche tempo la cara Maria-finta-gravida-che vuole-abortire non si ritrovi d’accapo gravida-che-vuole-di-nuovo-abortire? E tutto quello che serve per capire perché una donna vuole abortire? E tutto quello che serve per aiutare a risolvere i problemi che hanno portato una donna ad abortire?

Chi lo fa?

Allora io e Maria siamo andati a cercare qualche dato sull’argomento:

a Pescara nel 2006 solo lo 0,24% dei certificati di interruzione di gravidanza, cioè la documentazione che rende praticabile l’IVG, viene rilascato dai consultori, 2 su 827 aborti, 11 (l’1,33%) dal medico di fiducia della donna, gli altri (813 cioè il 98,31%) sono stati rilasciati dalla struttura ospedaliera. Cioè né prevenzione, né educazione, né supporto.

Poi scorrendo le tavole dei dati troviamo che i casi di aborti ripetuti sono oltre il 30%, buoni 4 punti in più della media nazionale, più o meno il doppio rispetto alle altre province della regione, ma anche tra i disvalori più elevati in confronto a quasi tutto il territorio nazionale, anche quando si confronta con realtà ben più complesse e problematiche.

Viene allora da chiedere: ma cosa fanno i consultori?

Maria-finta-gravida-che-non-vuole-abortire ha deciso di volerci vedere chiaro e penso non sarà inutile approfondire. A presto!